Parte quarta -orazione- : Padre Nostro I e II domanda



1                    Prefazione all'orazione domenicale

PADRE NOSTRO CHE SEI NEI CIELI
La formula della preghiera cristiana, insegnata da Gesù Cristo, è di tale tenore che, prima di recitare le invocazioni di domanda, propone come proemio alcune parole, con le quali, nell'atto di accedere devotamente a Dio, esprimiamo con più calda fiducia le nostre richieste. È dovere del parroco spiegare distintamente e con chiarezza tali parole, affinché il popolo credente si disponga più alacremente alla preghiera sapendo di rivolgersi direttamente a Dio come Padre. Tale proemio, brevissimo per le parole che lo compongono, è importantissimo e pieno di misteri per il suo contenuto.

2                    Il nome di "Padre" conviene a Dio per molte ragioni

370 PADRE. E la prima parola di questa Orazione, per espresso comando e istituzione di Dio. Il nostro Salvatore, in verità, avrebbe potuto premettere un vocabolo più maestoso, per esempio quello di "Creatore" o "Signore". Volle invece eliminare ogni termine capace di incuterci timore e scelse quello che ispira amore e fiducia a quanti si rivolgono a Dio con la preghiera. Quale appellativo più grato che quello di Padre? Esso suona unicamente indulgenza e amore. Per indicare poi le ragioni che giustificano l'applicazione del nome di Padre a Dio, basterà ricordare la creazione, la provvidenza e la redenzione.
Anzitutto, Dio creò l'uomo a sua immagine, cosa che non fece con gli altri animali.
Avendo di così insigne privilegio dotato l'uomo, propriamente egli viene chiamato nelle Sacre Scritture "Padre" di tutti gli uomini e non solo dei credenti, ma anche degli infedeli.
In secondo luogo, per il fatto che Dio provvede e dispone il tutto per il vantaggio degli uomini, egli, con la speciale manifestazione della sua provvidenza e della sua cura, ci rivela l'amore paterno. Affinché dalla spiegazione di questo argomento appaia più limpida la cura paterna che Dio ha degli uomini, sembra opportuno dire qualcosa sulla custodia degli angeli, sotto la cui tutela si trovano gli uomini. Per divino volere è affidato agli angeli il compito di custodire il genere umano e di vegliare al fianco di ogni individuo, affinché non lo colpisca troppo grave danno.
Come i genitori scelgono delle guide e dei sorveglianti per i figlioli che affrontano un viaggio per un sentiero pericoloso e insidioso, così il Padre celeste, nella via che mena alla patria dei cieli, assegnò a ciascuno di noi degli angeli, perché noi fiancheggiati dal loro solerte appoggio, evitassimo i tranelli tesi dal nemico, respingessimo i suoi temibili attacchi sotto la loro guida, non smarrissimo la retta strada e nessun inganno tramato dall'avversario insidioso ci spingesse lungi dal cammino che mena al paradiso.
Quanto sia preziosa questa singolare cura e provvidenza di Dio per gli uomini, affidata al ministero degli angeli, la cui natura appare intermedia fra quella di Dio e quella degli uomini, emerge dai copiosi esempi delle divine Scritture. Esse attestano come spesso, per benigno volere di Dio, gli angeli compirono gesta mirabili al cospetto degli uomini. Tali esempi ci fanno persuasi che innumerevoli atti del medesimo genere sono compiuti dagli angeli, tutori della nostra salvezza, utilmente e beneficamente, per quanto fuori della percezione dei nostri occhi.
L'angelo Raffaele, per esempio, per volere divino unitesi quale compagno e guida nel viaggio a Tobia, lo condusse e ricondusse incolume (Tb 5,5). Lo salvò dalla voracità del pesce smisurato, mostrando poi tutte le virtù contenute nel fegato, nel fiele e nel cuore di esso (Tb 6,2). Cacciò il demonio e, vincolatane la forza, fece sì che non nuocesse a Tobia (Tb 8,3). Fu l'angelo Raffaele che ammaestrò Tobia sui doveri del matrimonio (Tb 6,4-16). Infine ridonò la vista al padre di Tobia (Tb 11,8-15).
Similmente l'angelo che liberò il principe degli Apostoli offre bene il destro per istruire il pio gregge circa i mirabili frutti della vigilanza e della custodia angelica. Potranno i parroci evocare la figura dell'angelo che scende a illuminare le tenebre del carcere, che desta Pietro dal sonno toccandolo al fianco, scioglie le catene, spezza i vincoli, impone di seguirlo, dopo avergli fatto prendere i calzari e gli indumenti, e ricordare come, dopo aver fatto uscire libero Pietro dal carcere in mezzo alle sentinelle, aprendo la porta, lo condusse in luogo sicuro (At 12).
Numerosi sono gli esempi di questo genere, come abbiamo detto, che la storia sacra registra. Da essi noi comprendiamo quanto inestimabile sia la copia dei benefici che Dio conferisce agli uomini servendosi degli angeli come di intermediari e messaggeri, inviati non già in una determinata e speciale circostanza, ma preposti alla nostra sorveglianza dal primo nostro anelito e incaricati di favorire la salvezza di ciascuno. La diligenza posta nella delucidazione di tale dottrina sortirà il benefico effetto di sollevare gli spiriti degli ascoltatori, stimolandoli al riconoscimento e alla venerazione della potenza e della provvidenziale cura di Dio per loro.
A questo proposito il parroco esalterà e rileverà le ricchezze della divina misericordia verso il genere umano. Fin dal tempo del progenitore della nostra schiatta e del suo peccato, noi non abbiamo mai cessato di offendere Dio con scelleratezze innumerevoli; ma egli conserva tuttora il suo affetto per noi, ne si stanca di esercitare assidua cura di noi. Chi ritenga Dio capace di dimenticare gli uomini è un folle che lancia contro di lui una volgarissima ingiuria. Dio si sdegnò con Israele che aveva bestemmiato d'essere stato abbandonato dal soccorso celeste. Sta scritto infatti nell'Esodo: "Misero a prova il Signore, domandando: "Abbiamo o no Dio con noi?" " (17,7). E in Ezechiele leggiamo che Dio si adirò con il medesimo popolo, avendo questo mormorato: "Dio non ci guarda più, il Signore lasciò a se stessa la terra" (8,12). Con il ricordo di queste testimonianze i fedeli saranno tenuti lontani dalla riprovevole supposizione che Dio possa dimenticarsi degli uomini.
Bisogna in proposito ricordare il lamento elevato contro Dio dal popolo d'Israele, presso Isaia, e la benevola similitudine con cui Dio ribatte la stolta recriminazione. Vi si legge infatti: "Sion ha detto: "II Signore mi ha abbandonata, il Signore mi ha dimenticata" " (Is 49,14). Ma Dio risponde: "Può una donna dimenticare la sua creatura, non aver pietà del figlio del suo ventre? E se anche quella se ne dimenticasse, io però non mi dimenticherò di te. Ecco, io ti porto scritta nelle mie mani" (ibid. 15.16).
A persuadere profondamente il popolo fedele di questa verità, per quanto dai passi citati essa venga pienamente confermata, che cioè nessun tempo potrà mai sopraggiungere in cui Dio perda il ricordo degli uomini e cessi di impartire loro i benefici della sua paterna carità, i parroci lo comproveranno con il luminoso esempio dei progenitori. Tu sai che essi, per aver trascurato e violato il comando di Dio, furono acerbamente giudicati e condannati con la terribile sentenza: "Maledetto sia il suolo per causa tua! Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita. Spine e cardi produrrà per te e mangerai l'erba campestre" (Gn 3,17s). Tu li vedi espulsi dal paradiso e, perché perdano ogni speranza di ritorno, leggi esservi stato posto un cherubino alla porta, vibrante in mano una spada di fuoco (ibid. 24). Allora comprendi che essi sono stati afflitti da mali interni ed esterni per volontà di Dio, che si vendica dell'ingiuria fatta a lui, e crederesti che sia finita per l'uomo; pensi forse che non solo egli sia privato dell'assistenza divina, ma che anche sia esposto a mali d'ogni genere. Eppure, in cosi grandi manifestazioni dell'ira divina, è apparsa agli uomini, nei segni del castigo, la luce della divina misericordia. Infatti, il Signore Iddio fece delle tuniche di pelli ad Adamo e a sua moglie e li vestì (ibid. 3,21 ); questa fu la grande prova che mai, in nessun tempo, l'aiuto di Dio sarebbe mancato agli uomini.
Tutta la forza di questa verità, che cioè l'amore di Dio non si esaurisce per qualsiasi offesa degli uomini, David la espresse con le parole: "Ha forse Dio trattenuto gli atti della sua misericordia nell'ira?" (Sal 76,10). E Abacuc espose lo stesso concetto, allorché disse a Dio: "Quando tu sarai irato, ricordati di essere misericordioso" (3,2). La stessa verità manifestò Michea dicendo: "Quale Dio è simile a tè, che perdoni all'iniquità e passi sopra ai peccati dei resti della tua eredità? Egli non conserva a lungo la sua ira, poiché vuole essere misericordioso" (7,18). Generalmente avviene che quanto più noi ci stimiamo perduti e privi del soccorso di Dio, tanto più Dio ha compassione di noi, per la sua bontà infinita, e ci assiste; trattiene nell'ira la spada della giustizia e non cessa di spargere i tesori inesauribili della sua misericordia.
Molto efficacemente, dunque, la creazione e il governo del mondo provano la volontà di Dio di amare e di proteggere il genere umano. Tuttavia, tra le due opere sopraddette emerge talmente l'opera della redenzione degli uomini che, soprattutto con questo beneficio, Dio, sommo benefattore e Padre nostro, manifesta la sua benignità verso di noi. II parroco, davanti ai suoi figli spirituali, insegni e richiami continuamente alla memoria questa primissima prova della carità di Dio verso noi, sicché capiscano come essi, essendo redenti, sono in modo ammirabile diventati figli di Dio. Così, infatti, scrive san Giovanni: "Diede loro la potestà di diventare figli di Dio e da Dio sono nati" (1,12). Perciò il Battesimo, primo pegno e segno della nostra redenzione, si chiama il sacramento della rigenerazione; per esso, noi nasciamo figli di Dio, come il Signore medesimo ha detto: "Quel che è nato dallo spirito è spirito" (Gv 3,6); e ancora: "È necessario che voi nasciate di nuovo" (ibid. 7). Cosi pure l'Apostolo Pietro: "Siete rinati non da seme corruttibile, ma incorruttibile, per la parola del Dio vivente" (1 Pt 1,23).
In virtù di questa redenzione, noi abbiamo ricevuto lo Spirito Santo e ci siamo arricchiti della grazia di Dio. Per questo dono Dio ci ha adottati come suoi figli, secondo le parole dell'Apostolo Paolo ai Romani: "Voi non avete di nuovo ricevuto lo spirito di schiavitù, per vivere nel timore, ma lo spirito di adozione a figli, per il quale noi gridiamo: Abbà, Padre" (Rm 8,15). Questa potente efficacia dell'adozione san Giovanni la espone chiaramente in questo modo: "Vedete quale prova d'amore diede a noi il Padre, tanto che noi ci chiamiamo e siamo figli di Dio" (3,1).

3                    A Dio Padre, creatore, governatore, redentore, sono dovuti amore, devozione, riverenza

371 Esposte queste verità, si deve mostrare al popolo fedele che cosa in cambio egli debba a Dio, Padre amorosissimo, per far capire quale devoto amore e quanta reverente obbedienza bisogna nutrire verso il nostro creatore, governatore e redentore e con quanta fiduciosa speranza si debba invocare.
Sarà necessario togliere l'ignoranza e correggere la perversità di giudizio di coloro che pensano che soltanto la fortuna favorevole e il prospero corso della vita sono la prova che Dio ci conserva il suo amore, mentre l'avversa fortuna e le calamità con le quali siamo da Dio provati sarebbero segno di animo ostile e addirittura di allontanamento da noi dell'attenzione divina.
Dovremo allora dimostrare che quando la mano del Signore ci percuote (Gb 19,21), non lo fa per inimicizia; percuotendoci ci sana (Dt 32,39) ed è salutare la piaga che ci viene da Dio.
Egli, infatti, castiga quelli che peccano, perché l'esperienza li faccia diventare migliori e, con il castigo presente, li redime dalla morte eterna. Con la verga visita le nostre iniquità e i nostri peccati con le percosse, ma non ci toglie la sua misericordia (Sal 88,33).
Si devono quindi ammonire i fedeli a riconoscere nel castigo il paterno amore di Dio e ad avere sempre vivo, nel cuore e sulle labbra, il ricordo di quel detto del pazientissimo Giobbe: "Egli ferisce e risana e, se percuote, le sue mani saneranno" (Gb 5,18). Si devono incitare i fedeli a considerare come detto per essi ciò che scrisse Geremia del popolo israelita: "Tu mi hai castigato e io sono stato ammaestrato, quasi giovenco indomito; convertimi e io sarò convertito; poiché tu sei il Signore mio Dio" (Ger 31,18).
Tengano sempre presente alla coscienza l'esempio di Tobia, il quale, nella piaga della cecità riconoscendo la paterna mano di Dio, esclamò: "Benedico te. Signore Dio d'Israele, poiché tu mi hai castigato e tu mi hai salvato" (Tb 11,17). In modo speciale si guardino i fedeli, da qualsiasi contrarietà siano angustiati e da qualsivoglia calamità siano afflitti, dal credere che Dio non lo sappia. Egli stesso dice: "Non un capello del vostro capo perirà" (Lc 21,18). Anzi, attingano conforto dall'oracolo divino, espresso  nell'Apocalisse: "Coloro che amo, io li rimprovero e li castigo" (3,19).
Trovino pace nell'esortazione dell'Apostolo agli Ebrei: "Figlio, non trascurare l'insegnamento del Signore; non ti abbattere se sarai ripreso da lui, poiché Dio castiga colui che ama; flagella tutti i figli che accoglie. Che se voi vi terrete fuori della sua Legge, sarete bastardi, non figli. Avemmo padri educatori della nostra carne e li abbiamo rispettati; quanto più non ubbidiremo al Padre degli spiriti e vivremo?" (Eb 12,5).

4                     

5                    Con la parola "nostro" si ricorda ai fedeli che essi sono tutti fratelli

372 NOSTRO. Quando ognuno di noi anche privatamente invoca il Padre, chiamandolo "nostro", viene avvertito che dal dono dell'adozione divina deriva per tutti i fedeli, necessariamente, la condizione di fratelli e il dovere di amarsi fraternamente: "Voi siete tutti fratelli: uno solo è il vostro Padre, che è nei cieli" (Mt 23,8). Perciò anche gli Apostoli, nelle loro lettere, chiamano fratelli tutti i fedeli. Da ciò l'altra necessaria conseguenza che, per l'adozione di Dio, non solo i fedeli sono stretti dal vincolo della fratellanza, ma anche, essendo uomo il Figlio unico di Dio, essi si chiamino e siano in realtà fratelli di Cristo. L'Apostolo ha scritto nell'epistola agli Ebrei, parlando del Figlio di Dio: "Non si vergognò di chiamarli fratelli, quando disse: "Annunzierò il tuo nome ai miei fratelli" " (2,11); parole che David, tanto tempo prima, aveva attribuito a Cristo Signore (Sal 21,23).
Cristo medesimo, secondo l'Evangelista, dice alle donne: "Andate, annunziate ai miei fratelli che vadano in Galilea; là mi vedranno" (Mt 28,10). Ora, ciò egli disse quando, già risorto dai morti, aveva conseguito l'immortalità; cosicché nessuno potrà pensare disciolta questa parentela, in seguito alla sua risurrezione e ascensione al cielo. Anzi, lungi dal toglierci per questa risurrezione la sua parentela e l'amore, sappiamo che quando egli dalla sede della sua maestà e della sua gloria, giudicherà tutti gli uomini di tutti i tempi, chiamerà con il nome di fratelli anche gli infimi tra i fedeli (Mt 25,31). E come potrebbe avvenire che noi non siamo fratelli di Cristo, se con lui siamo coeredi? (Rm 8,17), poiché egli è il Primogenito, costituito erede universale (Eb 1,2); ma noi, nati dopo di lui, siamo coeredi con lui, per l'abbondanza dei doni celesti e nella misura della carità con la quale ci offriremo ministri e coadiutori dello Spirito Santo (1 Cor 3,9).
Dallo Spirito Santo siamo incitati alla virtù e alle opere buone; siamo spronati dalla sua grazia alla lotta coraggiosa per la nostra salvezza, in modo che, terminata la lotta con sapienza e costanza, al termine di questa vita riceviamo dal divin Padre il giusto premio della corona (Ap 2,10), assegnato a coloro che avranno seguito la medesima via. Dio, come dice l'Apostolo, non è ingiusto, ne dimentica l'opera nostra e il nostro amore per lui (Eb 6,10). Ma noi dobbiamo proferire con il cuore la parola nostro, come spiega san Giovanni Crisostomo, il quale dice che Dio ascolta volentieri il cristiano non solo quando questi prega per sé, ma anche quando prega per il prossimo.  "Pregare per sé è naturale, ma è proprietà della grazia pregare per gli altri; la necessità costringe a pregare per sé; a pregare per il prossimo ci spinge la carità fraterna."
Aggiunge che a Dio riesce più gradita quella preghiera che la carità fraterna gli innalza fiduciosa, che quella del fedele spinto dalla necessità.
Trattando dell'importantissimo argomento della preghiera salutifera, il parroco ammonisca ed esorti tutti, di qualunque età, sesso e condizione, a ricordare la comune fraterna parentela, ad agire sempre da buoni compagni, da fratelli, senza comportarsi con superbia verso gli altri. Nella Chiesa di Dio vi sono funzioni di grado diverso, ma la varietà dei gradi e degli uffici non toglie affatto l'unione e il dono della fraterna parentela, al modo stesso che nel corpo umano il vario uso e la diversa funzione delle membra non impediscono che questa o quella parte del corpo perda la sua qualità e il nome di membro.
Pensiamo a uno rivestito della dignità regale; se è fedele, non sarà forse fratello di tutti coloro che sono uniti nella comunione della fede cristiana? Certamente, e perché? Perché i ricchi e i re non furono creati da un Dio e i poveri e quelli che dipendono dai re, da un altro: Dio è uno, Padre e Signore di tutti. È unica dunque la nobiltà dell'origine spirituale per tutti, unica la dignità, unico lo splendore della stirpe, poiché tutti per lo stesso spirito, per il medesimo sacramento della fede, siamo nati figli di Dio, coeredi della medesima eredità. E come non hanno un Cristo i potenti e i ricchi e un altro i più deboli e gli infimi, così tutti vengono iniziati non a sacramenti diversi, ne possono sperare per loro diversa eredità nel regno dei cieli.
"Siamo tutti fratelli e membra", come dice l'Apostolo agli Efesini, "del corpo di Cristo, fatti della sua carne e delle sue ossa" (5,30). Così pure dice nell'epistola ai Galati: "Tutti siete figli di Dio per la fede in Cristo Gesù; tutti voi, infatti, che siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. Non esiste giudeo o greco; non esiste servo o libero; maschio o femmina; poiché tutti siete un solo corpo in Cristo Gesù" (3,26).
Questa verità i pastori delle anime dovranno spiegare con cura e dovranno appositamente indugiare su questo soggetto; poiché il passo citato è adatto a incoraggiare e sollevare i poveri e i miseri, non meno che a rintuzzare e reprimere l'arroganza dei ricchi e dei potenti. A questo scopo, appunto, l'Apostolo insisteva sulla fraterna carità e la inculcava negli orecchi dei fedeli.

6                    Disposizione d'animo nel recitare il "Pater noster"

373 Quando farai questa preghiera, ricordati, o cristiano, che ti presenti a Dio come un figlio al padre; quando stai per cominciarla e dici "Padre nostro", pensa a quale onore la somma bontà divina ti ha innalzato, si che tu non abbia a presentarti davanti al Signore, forzatamente e pauroso, come uno schiavo. Invece, cerca rifugio in lui liberamente, senza apprensioni, come un figlio nel proprio padre. In questo ricordo e in questo pensiero, considera con quale sentimento e quale pietà tu debba pregare; adoperati a essere meritevole della qualifica di figlio di Dio, in modo che la tua preghiera e le tue orazioni non siano indegne della stirpe divina alla quale Dio, nella sua infinita bontà, si degna di farti appartenere. A questo dovere esorta l'Apostolo quando dice: "Siate dunque imitatori di Dio, come figli amantissimi" (Ef 5,1) e si possa veramente dire di noi, ciò che l'Apostolo scrisse ai Tessalonicesi: "Voi tutti siete figli della luce e figli del giorno" (1 Ts 5,5).

7                    Perché Dio, presente ovunque, è invocato "nei cieli"

374 CHE SEI NEI CIELI. Per tutti quelli che hanno di Dio una giusta idea, è certo che Dio si trova dovunque e tra tutte le genti; ne ciò si deve intendere come se egli sia distribuito in parti, delle quali una sia presente e protegga un determinato luogo, l'altra un altro; Dio è spirito e non comporta divisione. Chi oserà circoscrivere la presenza di Dio entro confini delimitati, ponendolo in un luogo determinato, quando egli stesso dice di sé: "Non occupo forse io cielo e terra?" (Ger 23,24). Queste parole si devono a loro volta interpretare nel senso che cielo, terra e tutto quello che essi racchiudono Dio abbraccia nella sua potenza e nella sua virtù, senza essere egli contenuto in nessun luogo. Dio è presente in tutte le cose, sia che le crei, sia che le conservi, mentre non è circoscritto in nessuna regione o limitato da spazio o da confini, quasi non vi fosse presente o non potesse affermare ovunque la sua natura e la sua potenza, come disse il santo re David: "Se io salirò in cielo, tu sei là" (Sal 138,8).
Eppure, sebbene Dio sia presente in tutti i luoghi e in tutte le cose, non circoscritto da nessun confine, la Sacra Scrittura dice spesso che il suo soggiorno è in cielo. Ciò si spiega con il fatto che, essendo i cieli al disopra di noi la parte del mondo nobilissima fra tutte, e rimanendo essi incorrotti, superiori anche come sono agli altri corpi in potenza, grandezza e bellezza e dotati di movimenti regolari e costanti, per eccitare gli animi dei mortali alla contemplazione dell'infinita sua potenza e maestà, meravigliosamente risplendente nell'opera dei cieli, nelle divine Scritture Dio ci dice che egli abita nei cieli. Spesso però dichiara anche che non c'è parte del mondo che egli non abbracci con la sua potenza, ovunque presente.
Con questo pensiero i fedeli abbiano avanti l'immagine non solo di Dio Padre comune, ma anche di rè dei cieli e si ricordino, quando pregano, di innalzare la mente e l'animo al cielo. Quanta speranza e fiducia ispira loro il nome di Padre, altrettanta umiltà e pietà deve infondere in loro la natura sublime e la divina maestà del Padre nostro che è nei cieli.
Codeste parole determinano anche quello che i fedeli devono chiedere a Dio. Ogni nostra richiesta, infatti, che riguardi le quotidiane necessità di questa vita, è vana e indegna di un cristiano se non è in relazione con i beni del cielo e ordinata a quel fine.
Perciò i parroci insegnino ai pii ascoltatori questo modo di pregare, appoggiando il loro insegnamento all'autorità dell'Apostolo, il quale dice: "Se siete risorti con Cristo, chiedete quei beni che sono lassù, dove Cristo siede alla destra di Dio: gustate i beni celesti, non quelli che sono sulla terra" (Col 3,1).


Prima domanda

SIA SANTIFICATO IL TUO NOME

L'ordine della preghiera segue l'ordine della carità
375 II Maestro e Signore di tutti ha insegnato e prescritto che cosa dobbiamo chiedere a Dio e quale deve essere l'ordine da seguire. Se infatti la preghiera deve esprimere e interpretare il nostro amore e i nostri desideri, allora solo sarà conveniente e ragionevole quando l'ordine delle nostre domande seguirà l'ordine medesimo delle cose che dobbiamo chiedere. Ora, la carità ci insegna che dobbiamo rivolgere a Dio tutto lo slancio del cuore. Dio, unico sommo Bene per se stesso, si deve amare di un amore del tutto particolare, superiore a qualunque altro. Ma non si amerà Dio con tutta l'anima e in maniera unica, se alle cose e a tutti i beni naturali non si antepongano l'onore e la gloria sua; i beni, nostri o altrui e tutte le cose che siamo soliti designare con il nome di beni, cedono davanti al sommo Bene, siccome derivanti da lui. Dunque, perché la preghiera proceda con ordine, il Salvatore ha disposto che la richiesta del sommo Bene sia la prima e la principale delle nostre domande, insegnandoci come noi, prima di chiedere il necessario per noi o per il prossimo, dobbiamo domandare le cose richieste dalla gloria di Dio e manifestare a Dio medesimo il nostro ardente desiderio di esse. In questo modo restiamo nell'esercizio della carità, la quale ci ammaestra ad amare Dio più di noi stessi, a chiedere prima ciò che desideriamo per Dio e soltanto dopo quello che vogliamo per noi.

8                    A Dio non possiamo desiderare altro che beni esteriori a lui

376 È certo che non si può desiderare e domandare se non ciò di cui siamo privi, ma d'altra parte niente si può aggiungere a Dio, cioè alla sua essenza, ne si può aumentare in modo alcuno la sostanza divina, che in sé racchiude tutte le perfezioni in modo ineffabile; è chiaro quindi che si trovano fuori di lui quelle cose che per Dio chiediamo a Dio medesimo e non riguardano che la sua gloria esteriore. Cosi chiediamo e desideriamo che il nome di Dio si diffonda sempre più tra le genti, si estenda il suo regno e che si moltiplichino ogni giorno quanti si sottomettono alla sua volontà. Ora, queste tre cose, il nome, il regno e l’obbedienza non costituiscono l'essenza di Dio, ma le convengono estrinsecamente. A far meglio comprendere tutta la forza e l'efficacia di queste preghiere, sarà compito del pastore spiegare al popolo fedele che le parole: "Così in cielo come in terra", si possano riferire a ognuna delle tre prime domande: "Sia santificato il nome tuo come in cielo così in terra"; "Venga il regno tuo come in cielo così in terra"; "Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra".
Quando chiediamo che sia santificato il nome di Dio, intendiamo che venga esaltata la santità e la gloria del nome divino. Qui il parroco farà osservare e spiegherà ai pii ascoltatori che il Salvatore disse ciò non perché Dio sia santificato allo stesso modo in cielo e sulla terra, quasi cioè che la santificazione terrestre eguagli in ampiezza quella celeste, cosa che non può affatto avvenire, ma intese dire che la santificazione si compia con la carità e con intimo impulso dell'animo, per quanto sia vero, com'è realmente, che il nome divino non ha per se stesso bisogno di essere santificato, essendo di per sé santo e terribile (Sal 110,9) com'è santo per sua essenza Dio medesimo, sì che nessuna santità gli può venire attribuita, che egli non abbia già avuto da tutta l'eternità. Tuttavia, noi desideriamo e facciamo domande per l'onore che gli viene tributato sulla terra, minore spesso di quello che gli spetta, per gli oltraggi a lui fatti, non di rado, con parole blasfeme e ingiuriose, e che la sua gloria venga esaltata con lodi e con onore, sull'esempio delle lodi, dell'onore e della gloria tributatigli in cielo. Si faccia in modo, insomma, che onore e culto siano nel pensiero nostro, nel cuore e sulle labbra, sicché l'onoriamo con venerazione inferiore ed esteriore e così circondiamo di eccelsa lode, seguendo l'esempio degli abitanti dei cieli, il nostro Dio, sublime, puro, glorioso.
Come i celesti, con magnifico consenso di lodi, esaltano Dio nella sua gloria, così preghiamo che lo stesso avvenga su tutta la terra e che tutti riconoscano Dio, lo adorino, lo servano; ne si trovi più alcuno tra i mortali che non abbia abbracciato la religione cristiana, ma tutti, dedicandosi a Dio, riconoscano che solo da lui si alimenta ogni fonte di santità, perché nulla vi è di puro e di santo che non provenga dalla santità del nome divino.
L'Apostolo, infatti, afferma che la Chiesa si è purificata con il lavacro dell'acqua, nella parola della vita (Ef 5,26), che è il nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, nel quale noi fummo battezzati e santificati. Poiché dunque non può esserci né espiazione, né purezza, né santità per colui sul quale non sia stato invocato il nome di Dio, noi desideriamo e invochiamo da lui che tutto il genere umano, sottraendosi alle tenebre dell'impura infedeltà e illuminandosi dei raggi della luce divina, conosca la forza di questo nome, sì che in esso ricerchi la vera santità e nel nome della santa e individua Trinità, prendendo il sacramento del Battesimo, ottenga la pienezza della santità dalla mano di Dio medesimo.
Nei nostri desideri e nelle nostre preghiere pensiamo anche a coloro che, macchiati di disordini e delitti, hanno perduto la pura santità del Battesimo e la veste dell'innocenza; onde avviene che in questi miseri ha di nuovo posto la sua sede lo spirito impuro.
Desideriamo, dunque, e invochiamo da Dio, che anche in loro venga santificato il suo nome, sì che tornando in se stessi, riscattino con il sacramento della Penitenza la loro purezza primitiva e si presentino a Dio quali templi e sede di santità e d'innocenza.
Noi preghiamo ancora che Dio infonda la sua luce in tutte le menti, sicché tutti possano vedere che ogni ottimo bene, ogni perfetto dono viene dal Padre della luce (Gc 1,17) ed è a noi dato per volontà divina; cosicché tutto (cioè la temperanza, la giustizia, la vita, la salute) tutti i beni dell'anima e del corpo, quelli esterni, quelli riguardanti la vita e quelli che riguardano la salute, si riferisca a colui, dal quale tutti provengono, come insegna la Chiesa. Se servono in qualche modo agli uomini il sole con la sua luce, le altre stelle con il loro movimento e le loro rivoluzioni; se l'aria circostante ci mantiene in vita e la terra ci sostiene con la sua fecondità con il produrre biade e frutti; se noi, per l'opera dei magistrati, godiamo quiete e tranquillità: ebbene, tutti questi e innumerevoli altri doni sono dovuti all'immensa bontà di Dio che ce li elargisce. Quelle cause stesse che i filosofi chiamano "seconde", noi dobbiamo intenderle quali mani mirabilmente create da Dio e fatte servire alle nostre necessità; mani per le quali egli ci distribuisce i suoi beni e li profonde ovunque abbondantemente.
Di somma importanza in questa preghiera è che tutti riconoscano e venerino la santissima sposa di Gesù Cristo, la Chiesa madre nostra; poiché, per lavare ed espiare tutte le sozzure dei nostri peccati, solo in essa troviamo la fonte abbondantissima e inesauribile, dalla quale scaturiscono tutti i sacramenti della salute e della santificazione. Da questi sacramenti, come per altrettanti canali, Dio fa scorrere su noi la rugiada e l'acqua dell'innocenza; inoltre, essa soltanto, con quanti abbraccia al suo seno, può implorare il suo nome divino, il solo dato agli uomini sotto il cielo, nel quale possiamo salvarci (At 4,12).

9                    Il nome di Dio deve essere santificato con la vita santa dei cristiani

377 I parroci devono insistere molto su questo punto: che il figlio buono non prega Dio soltanto a parole, ma con la condotta e con la propria azione fa sì che in se stesso risplenda la santificazione del nome di Dio. Volesse Iddio che non ci fossero di quelli che, mentre chiedono continuamente con preghiere questa santificazione del nome divino, poi la violano con le loro azioni e la insozzano quanto più possono, sì che per colpa loro, qualche volta, persino Dio è maledetto.
Contro tali uomini disse l'Apostolo: "Per colpa vostra si bestemmia il nome di Dio tra le genti" (Rm 2,24). E in Ezechiele si legge: "Sono entrati tra le genti e hanno profanato il mio santo nome, facendo dire di sé: "Questi sono il popolo del Signore e sono usciti dalla sua terra" " (36,20), poiché dalla vita e dai costumi di quelli che professano una religione, le folle ignoranti giudicano della religione medesima e dell'Autore di essa.
Ma quelli che vivono secondo la religione di Cristo, da essi abbracciata, e conformano alla sua regola la preghiera e le azioni, offrono agli altri grande argomento per render lode al nome santo del Padre celeste e per celebrarlo con ogni onore e gloria. Poiché a noi il Signore ha imposto di eccitare gli uomini, con splendide azioni di virtù, alla lode e alla celebrazione del nome divino. Per noi è stato detto dall'Evangelista: "Risplenda la vostra luce dinanzi agli uomini perché vedano le vostre opere buone e glorifichino il vostro Padre che è nei cieli" (Mt 5,16). E il principe degli Apostoli scrive: "Conducete una vita onesta tra i Gentili, sicché essi, giudicandovi dalle vostre opere, rendano gloria a Dio" (1Pt 2,11).

Seconda domanda

9.1              VENGA IL TUO REGNO


II regno di Dio è il fine di tutto il Vangelo
378 Tale è il regno di Dio che noi chiediamo in questa seconda domanda, che a esso mira e in esso ha il suo scopo ultimo tutta la predicazione del Vangelo. Per esso san Giovanni Battista incominciò a esortare alla penitenza quando disse: "Fate penitenza, che il regno dei cieli è vicino" (Mt 3,2), ne con altro argomento iniziò l'opera della sua predicazione il Salvatore del genere umano (Mt 4,17). In quel discorso salutare con il quale, sulla montagna, mostrò ai discepoli la via della beatitudine, egli prese inizio dal regno dei cieli, quale argomento fondamentale del discorso stesso: "Beati i poveri in spirito, perché di questi è il regno dei cieli" (Mt 5,3).
E a quelli che cercavano di trattenerlo presso di loro, diede questa risposta come ragione della sua partenza: "E’ necessario che io annunci anche alle altre città il regno di Dio, essendo stato mandato per questo" (Lc 4,43). Più tardi ordinò agli Apostoli di predicare questo medesimo regno (Mt 10,7) e a colui che voleva andare a seppellire il padre morto rispondeva: "Tu va’ e annuncia il regno di Dio" (Lc 9,60). Risorto, poi, per tutti quei quaranta giorni che si mostrò agli Apostoli, parlò sempre del regno di Dio (At 1,3).

10                Efficacia della domanda

379 I parroci svolgano con ogni cura questa seconda domanda, sì che i fedeli ne capiscano tutto il valore e la necessità.
A spiegarla lucidamente e con profitto sarà loro di valido aiuto la considerazione che, per quanto questa preghiera sia implicita in tutte le altre, tuttavia Dio ha ordinato di farla anche separatamente, affinché noi cercassimo con grande zelo quanto chiediamo.
Infatti egli ha detto: "Cercate in primo luogo il regno di Dio e la sua giustizia e avrete in soprappiù tutte queste cose" (Mt 6,33). Tanto grandi sono il valore e l'abbondanza dei beni celesti, espressi con questa preghiera, da comprendere tutte le cose necessarie alla vita materiale e spirituale. Diremmo noi forse degno del nome di re quel monarca che non cura il bene dello stato? Ora, se un monarca terreno è geloso della prosperità del suo regno, quanta cura e quanta provvidenza non dobbiamo noi credere che abbia il Re dei re di conservare la vita e la salute degli uomini? Perciò in questa domanda del regno di Dio sono compresi tutti i beni, dei quali maggiormente abbiamo bisogno nel nostro pellegrinaggio in questo esilio e che Dio, nella sua misericordia, promette di concedere, quando subito soggiunge: "E avrete in soprappiù tutte queste cose". Con queste ultime parole egli dimostra di essere il re che abbondantemente e largamente profonde ogni bene al genere umano.
Pensando alla sua infinita bontà, David di lui cantò: "II Signore è il mio pastore: non manco di nulla" (Sal 22,1). Ma è assolutamente insufficiente invocare con ardore il regno di Dio, se insieme alla preghiera non adoperiamo i mezzi che ci aiutano a cercarlo e a trovarlo. Anche le cinque vergini stolte chiesero con ardore: "Signore, signore, aprici" (Mt 25,11), ma non avendo il sostegno necessario alla loro richiesta, rimasero fuori. E giustamente, poiché dalle labbra di Dio era uscita la sentenza: "Non chiunque mi dice: "Signore, signore" entrerà nel regno dei cieli" (Mt 7, 21).

11                Necessità della domanda

380 I sacerdoti, che hanno la cura delle anime, attingeranno alle ricchissime fonti della Sacra Scrittura gli argomenti per eccitare nei fedeli il desiderio e l'ardente ricerca del regno dei cieli. Espongano ai loro occhi le misere condizioni del nostro stato, li impressionino in modo che essi, raccogliendosi in se stessi ed esaminandosi, ricordino la somma beatitudine e i beni ineffabili, dei quali è piena la casa eterna di Dio Padre nostro.
Noi infatti siamo degli esuli e in verità abitiamo un luogo dove hanno sede i demoni, il cui odio verso di noi è impossibile a mitigarsi, implacabilmente ostili come sono al genere umano. Che cosa non sono le lotte intime che hanno tra loro, senza posa, il corpo e l'anima, la carne e lo spirito? (Gal 5,17). Non temiamo noi sempre di dover soccombere? E non solo temiamo, che anzi soccomberemmo subito se non fossimo sorretti e difesi dalla mano di Dio. L'Apostolo sentiva tutta la miseria di questa vita quando scriveva: "Misero me! Chi mi libererà da questo corpo di morte? " (Rm 7,24).
L'infelicità della nostra natura, per quanto grande possa apparire, risalta maggiormente se si confronta con la condizione di tutti gli altri esseri e delle cose create. Tra essi, anche se privi di ragione e perfino di sentimento, raramente avviene che qualcuno devii dalle proprie azioni, dal sentire e dai movimenti suoi propri, sì da allontanarsi dal fine assegnato; ciò è così evidente per gli animali tutti, per esempio per i pesci e per gli uccelli, che riuscirebbe inutile qualunque dimostrazione. Che se tu guardi al cielo, ti apparirà verissimo ciò che disse David: "In eterno, o Signore, permarrà in cielo la tua parola" (Sal 118,89). Il cielo infatti è in continuo moto, in rivoluzione perpetua, ma nessun astro si può allontanare di una linea dalla via segnata dal volere divino. Se consideri la terra e il rimanente universo, ti accorgerai subito che di poco o nulla vadano deperendo.
La misera umanità, invece, è quella che molto spesso cade; essa ben di rado prosegue in ciò che ha pensato rettamente; il più delle volte rigetta e disprezza le buone azioni intraprese; non appena ha secondato una buona idea, subito se ne pente e la rigetta e una volta rigettatala, si lascia andare alle deliberazioni più abiette e dannose. Ma qual è, dunque, la causa di questa incostanza e di questa miseria? Certamente è il disprezzo delle ispirazioni divine. Noi chiudiamo le orecchie ai moniti di Dio, non vogliamo sollevare lo sguardo a quella luce che Dio ci manda, ne prestare ascolto agli insegnamenti che, per la nostra salvezza, ci da il Padre celeste.
Di qui nasce per i parroci il dovere di svelare al popolo fedele tutta l'umana miseria, di elencarne le cause, di mostrare l'efficacia potente dei rimedi. Ne mancherà loro la possibilità di adempiere a tanto dovere, se attingeranno da autori così santi, quali Giovanni Crisostomo e Agostino, e specialmente da quello che noi stessi abbiamo detto spiegando il Simbolo.
Chi sarà, tra i facinorosi, colui che quando gli siano fatte conoscere queste verità, non si sforzerà, con l'aiuto della grazia proveniente da Dio, di rianimarsi e di alzarsi sull'esempio del figliol prodigo del Vangelo, per venire al cospetto del suo Re celeste e Padre? (Lc 15,11).

12                Il regno di Dio è il suo potere universale e la sua provvidenza

381 Spiegato così quanto sia utile ai fedeli questa preghiera, i parroci facciano vedere in che cosa più precisamente consista ciò che noi chiediamo a Dio, poiché le parole "regno di Dio" significano molte cose, la cui spiegazione riuscirà utile per capire tutta la rimanente Scrittura, mentre è necessaria alla conoscenza di questo passo.
Il senso dunque più comune di regno di Dio, che ricorre di frequente nella Sacra Scrittura, è quello che non solo indica il potere di Dio su tutti gli uomini e le cose, ma anche la Provvidenza che tutto regola e governa: "Nelle sue mani", dice il Profeta, "tiene la terra in tutta la sua estensione" (Sal 94,4). In questa estensione è compreso tutto ciò che, nascosto nelle profondità della terra e in tutte le parti del creato, si tiene celato a noi. Ciò intendeva Mardocheo quando diceva: "Signore, Signore, re onnipotente, tutte le cose sono poste sotto la tua signoria e non v'è chi possa opporsi alla tua volontà; sei tu Signore di tutti e non v'è chi possa resistere alla tua maestà" (Est, 13,9).
Con le parole "regno di Dio" s'intende ancora la provvidenza particolare con cui Dio custodisce e vigila sugli uomini pii e i santi; provvidenza e cura esimia, per le quali David disse: "Poiché Dio mi governa, nulla mi potrà mancare" (Sal 22,1) e baia: "II Signore è nostro re: egli ci salverà" (33,22).

13                Il regno di Dio non è di questo mondo

382 Sebbene già sulla terra vivano sotto questo regio potere di Dio gli uomini che chiamiamo pii e santi, tuttavia Cristo Signore disse a Filato che il suo regno non è di questo mondo (Gv 18,36), cioè non ha la sua origine in questo mondo, il quale fu creato e avrà una fine. Abbiamo detto in che modo dominano imperatori, re, repubbliche, duchi e tutti quelli che, per desiderio o elezione degli uomini, stanno a capo del governo nelle città e nelle province, oppure con la violenza e l'ingiustizia si impadronirono del potere. Ma Cristo Signore fu fatto re da Dio, come dice il Profeta (Sal 2,6) e il suo regno, secondo il detto dell'Apostolo, è il regno della giustizia; dice infatti: "II regno di Dio è giustizia, pace e gaudio nello Spirito Santo" (Rm 14,17).
Cristo regna in noi con le intime virtù della fede, della speranza, e della carità; per queste virtù noi siamo in certo modo chiamati a partecipare al regno. Essendo soggetti in modo particolare a Dio, siamo consacrati al suo culto e alla sua venerazione, tanto che l'Apostolo dice: "Vivo io, ma piuttosto non io; vive in me Cristo" (Gal 2,20). Anche a noi sarà lecito dire: "Io regno, ma piuttosto non sono io: regna in me Cristo".
Questo regno si chiama giustizia, poiché esso è fatto della giustizia di Cristo Signore. Di questo stesso regno dice il Signore in san Luca: "II regno di Dio è dentro di voi" (17,21). Quantunque Gesù Cristo regni per la fede in tutti quelli che sono raccolti in grembo alla santa madre Chiesa, egli ha tuttavia cura speciale di quelli che, animati da fede viva, dalla speranza e dalla carità, si offrono a Dio quali membra pure e vive di lui, tanto che si può dire che in essi regni la grazia divina.
Ma è pure regno della gloria di Dio quello del quale Cristo Signore parla in san Matteo: "Venite, benedetti dal Padre mio, possedete il regno preparato per voi fin dall'origine del mondo" (Mt 25,34). Questo regno chiedeva a Cristo in san Luca il buon ladrone che riconobbe i propri delitti: "Signore, ricordati di me, quando giungerai nel tuo regno" (Lc 23,42). San Giovanni pure ricorda questo regno: "Chi non rinasce con l'acqua e lo Spirito Santo non può entrare nel regno di Dio" (3,5). E l'Apostolo agli Efesini: "Chiunque sia fornicatore, impudico, avaro, poiché ha servito idoli, non ha parte nell'eredità del regno di Cristo e di Dio" (Ef 5,5). A questo regno ancora si riferiscono alcune parabole di Cristo Signore, quando parla del regno dei cieli (Mt 13,24.31.33.44).
È necessario stabilire prima il regno della grazia; poiché non può regnare la gloria di Dio in colui nel quale già non regni la grazia. "La grazia", secondo il detto del Salvatore, "è una fontana d'acqua zampillante in vita eterna" (Gv 4,14). Che diremo, dunque, che sia la gloria, se non la grazia perfetta e assoluta? Infatti, mentre per tutto il tempo che, rivestiti di questo corpo fragile e mortale, andiamo vagando in questa cieca peregrinazione, in questo esilio e, sempre vacillanti, restiamo lontani da Dio, spesso sdruccioliamo e cadiamo, rigettando il sostegno del regno della grazia, sul quale ci appoggiavamo; quando invece ci avrà illuminati la luce del regno della gloria, l'unico perfetto, noi saremo fermi ed eternamente stabili, poiché allora il vizio e la malattia si dilegueranno e ogni debolezza si cambierà in robustezza; Dio stesso, infine, regnerà nell'anima e nel nostro corpo, come abbiamo esposto ampiamente nel Simbolo, parlando della risurrezione della carne.

14                Noi chiediamo che tutto sia sottoposto a Cristo

383 Spiegato il concetto generale di regno di Dio, si dovrà dire a che cosa miri più propriamente questa prima richiesta.
Noi chiediamo a Dio che il regno di Cristo, che è la Chiesa, si propaghi; che gli infedeli e gli Ebrei si convertano alla fede di Cristo Signore e accolgano la rivelazione del vero Dio; che gli scismatici e gli eretici ritornino alla sana dottrina e rientrino nella comunione della Chiesa di Dio dalla quale si separarono, affinché si compia realmente ciò che il Signore ha detto per bocca di Isaia: "Allarga il tuo padiglione e distendi senza risparmio le pelli delle tue tende; allunga le tue corde, consolida i pioli; poiché tu penetrerai a destra e a sinistra; ti dominerà colui che ti ha fatto” (Is 54,2-5). E anche: "Le genti cammineranno alla tua luce e i re nello splendore della tua nascita. Leva intorno gli occhi e guarda: tutti questi si sono uniti insieme e vengono a te; verranno a te figli da lontano e le figlie tue appariranno da ogni lato" (Is 60,3s).
Siccome anche nella Chiesa ci sono di quelli che affermano Dio a parole, ma lo negano coi fatti (Tt 1,16) e presentano così una fede sfigurata, per cui il demonio del peccato abita in loro e domina in essi come nella propria dimora, noi chiediamo che venga anche per essi il regno di Dio, sicché, scossa la caligine dei peccati, illuminati dai raggi della luce divina, essi vengano restituiti alla primitiva dignità di figli di Dio. Chiediamo pure che, cacciati dal suo regno gli eretici e gli scismatici, banditi gli scandali e le cause dei peccati, il nostro Padre celeste purifichi l'aia della sua Chiesa, sicché questa, tributandogli un culto pio e santo, goda di una pace dolce e tranquilla.
Chiediamo, infine, che solo viva e regni in noi Iddio; che non sia più possibile la morte, ma essa venga invece assorbita nella vittoria di Cristo nostro Signore, il quale bandisca e annienti ogni signoria dei nemici con la potenza della virtù, sottomettendo tutte le cose al suo dominio.

15                Condizioni di una preghiera efficace

384 Sarà cura dei parroci dare al popolo fedele le spiegazioni che richiede lo spirito di questa domanda sulle disposizioni d'anima, nelle quali si possa innalzare piamente a Dio questa preghiera.
Anzitutto lo esorteranno a penetrare l'efficacia e lo spirito di quella parabola del Salvatore: "II regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo; un uomo lo trova e non lo palesa, ma, tutto allegro, va, vende quel che ha e compra quel campo" (Mt 13,44). Chi, infatti, riconosce le ricchezze di Cristo Signore, disprezza per esse ogni cosa: beni, fortuna, potenza; tutto per lui sarà vile; poiché nulla si può paragonare al sommo Bene e anzi, nulla vi è che possa reggere al suo confronto. Perciò quelli ai quali sarà toccato di conoscerlo, esclameranno con l'Apostolo: "Tutto ho considerato una perdita, tutto stimo fango, per guadagnare Cristo" (Fil 3,8). È questa la perla preziosa del Vangelo, della quale è detto che colui che l'avrà ottenuta, vendendo tutti i suoi beni, sarà chiamato a godere la beatitudine eterna (Mt 13,45).
Felici noi, se Cristo ci concederà tanto di luce da poter vedere la perla della grazia divina, per la quale egli regna nei suoi; venderemmo tutte le nostre cose e noi medesimi, per comprarla e conservarla, poiché allora finalmente potremmo dire con sicurezza: "Chi ci separerà dalla carità di Cristo?" (Rm 8,35). Ma se vogliamo conoscere quale sia l'insigne eccellenza della gloria di Dio, ascoltiamo la parola e il pensiero del Profeta e dell'Apostolo: "L'occhio non ha veduto, l'orecchio non ha udito, né il cuore dell'uomo ha potuto concepire i beni che Dio ha preparato a quelli che lo amano" (ls 64,4; 1 Cor 2,9).
Ci disporrà validamente a ottenere quanto chiediamo lo stimarci quali siamo: progenie d'Adamo, scacciati a buon diritto dal Paradiso ed esuli, avendoci la nostra indegnità e la nostra perversità meritato l'odio sommo di Dio e le pene eterne, perciò è necessario starsene con animo umile e dimesso. Sia inoltre la nostra preghiera piena di cristiana umiltà; diffidando di noi stessi, come il pubblicano (Lc 18,13), affidiamoci completamente alla misericordia e bontà di Dio. Attribuendo tutto alla sua benignità, rendiamogli grazie immortali per averci largito il suo spirito, per il quale possiamo esclamare fiduciosi: "Abbà, Padre" (Rm 8,15). Diamoci anche cura e pensiero di quello che si deve fare, o evitare, per giungere al regno celeste. Poiché non all'ozio e all'inerzia siamo stati chiamati da Dio; che anzi egli dice: "II regno dei cieli s'acquista con la forza e lo afferrano i violenti" (Mt 11,12) e ancora: "Se vuoi arrivare alla vita, osserva i comandamenti" (Mt 19,17).
Non basta dunque chiedere il regno di Dio, se non si volgano a esso l'amore e l'opera; perché gli uomini devono essere cooperatori e ministri della grazia di Dio nella via per salire al cielo. Dio non ci verrà mai meno, avendoci promesso di essere sempre con noi, ma da una cosa ci dobbiamo guardare: dall'abbandonare Dio e noi medesimi. Infatti, in questo regno della Chiesa sono di Dio tutte le cose con le quali si conserva la vita umana e si ottiene la salute eterna; lo sono tutte le schiere degli angeli, che non vediamo, e il tesoro visibile dei sacramenti, così ricco di virtù celeste. Con tutte queste cose Dio ci ha assicurato un così valido aiuto, che possiamo non solo scampare dal dominio dei nostri acerrimi nemici, ma anche umiliare e conculcare il tiranno infernale e i suoi malvagi satelliti.

16                Sintesi della domanda

385 Chiediamo, dunque, ardentemente allo spirito di Dio che ci comandi di fare ogni cosa secondo la sua volontà; che abbatta il regno di Satana, sì che questi su di noi non abbia alcun potere nel giorno estremo; che Cristo vinca e trionfi. Chiediamo che la sua Legge sia in vigore nel mondo intero e vengano posti in atto i suoi decreti; che nessuno sia traditore o disertore della sua causa, ma tutti si dimostrino tali che, senza esitare, possano venire al cospetto di Dio loro re ed entrare in possesso del regno dei cieli, a loro preparato fin dall'eternità, dove godranno, beati con Cristo, nella vita eterna.

Nessun commento:

Posta un commento